La capacità di intuire la bellezza sembrerebbe specifica ed esclusiva del genere umano. Gli animali, per quanto a noi noto ed anche specie superiori, ne sembrerebbero totalmente sprovvisti.
Ad esempio, se una persona mediamente sensibile entra in una delle tante bellissime chiese d’Italia che tutto il mondo ammira, viene immediatamente investita da una forte percezione di sublime bellezza che la induce al silenzio, ad uno sguardo ammirato e ad un naturale evitare ogni comportamento inopportuno, come ad esempio il parlare ad alta voce, percepito come inadeguato al cospetto di tanta bellezza.
L’essere umano dotato almeno di media sensibilità, percepisce chiara e forte la bellezza sul piano della quantità della percezione ma essa non è mai totalmente comprensibile e rimane sempre in parte misteriosa, più intuizione quindi che razionale dispiegarsi di una conoscenza.
Ma se introducessimo nella stessa bellissima chiesa un gregge di pecore, provvedendo loro cibo e acqua, si comporterebbero tutte come in un ovile, senza alcuna apparente percezione della bellezza del luogo né alcun rispetto.
Ed hanno ragione, le pecore, perché pur ammesso che la bellezza si possa definire, per renderla anche solo un po’ oggettiva, sarebbe poi totalmente inutile. La bellezza intuita non aiuta un essere vivente a vivere più a lungo, né a ridurre i rischi per la propria sopravvivenza. Se intuita da una specie, non incrementa le possibilità di quella specie di avere successo nella lotta dell’evoluzione.
Gli animali non percepiscono la bellezza né se ne curano perché è ininfluente sul piano dei due grandi istinti di sopravvivenza e di prosecuzione della specie.
A noi umani, questa intuizione sembrerebbe non derivare dall’ordine naturale, dalla materia, dal patrimonio genetico. Parrebbe invece essere parte integrante della nostra dimensione spirituale.
Io penso che l’essere umano, fatto ad immagine di Dio, sia nella sua natura più profonda, fatto per essere in relazione con Dio. Dio, che è relazione d’amore, creandoci come suoi figli, non poteva che farci in un certo senso simili a lui nell’orientamento alla relazione d’amore.
Certo siamo molto diversi da Dio, non siamo onnipotenti nei confronti del creato ed anche in relazione alla nostra stessa vita, siamo di una fragilità estrema, come dimostrano le dimensioni della tentazione e del peccato. L’essere umano appare incapace di bastarsi, di poter stare in equilibrio da solo, ed è invece infinitamente bisognoso di relazioni d’amore, quali la vera amicizia, la relazione tra innamorati, tra genitori e figli, ecc…
Ma il più profondo bisogno di relazione d’amore, così profondo da essere compreso con chiarezza da pochi, è il bisogno della relazione con Dio, nostro padre, creatore e centrale di ogni vero amore.
Ma Dio, in questa vita, si è nascosto ai nostri occhi, per amorevole rispetto della nostra libertà. Per questo non abbiamo una pace compiuta e siamo sempre in moto, fuori o dentro di noi, sempre a cercare o costruire cose che una volta conseguite vengono superate da una spinta incontenibile ad andare sempre oltre.
Come il cosmo materiale, nel suo immane inarrestabile divenire, cerca il suo ritorno a Dio e solo questo ritorno potrà far superare il divenire nel nuovo essere di un cielo nuovo e di una terra nuova, così il nostro cuore errante cerca inconsapevolmente per tutta la vita il ritorno in Dio.
Io penso che la bellezza sia una traccia del passaggio di Dio. La troviamo nel creato, ove Dio creatore ha lasciato l’impronta del suo agire o nella vera arte, quando un artista riesce a tirar fuori dalla propria anima qualcosa di eterno che Dio vi ha posto.
E quando noi erranti, creati da Dio, simili a lui nei desideri profondi, in continua ricerca inconsapevole del suo volto, incontriamo una sua traccia, la bellezza, la nostra anima si illumina.
E la bellezza, come ogni traccia, ci dice che Colui che stiamo inseguendo è passato di lì e non è lontano.
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